Alberto Ascari, uno dei più grandi piloti di auto da corsa.
Campione del mondo del campionato di formula uno nel 1952 e 1953 con la Ferrari.
Perse la vita mentre provava una Ferrari 750 sport sul circuito di Monza il 26 maggio 1955.
Quella mattina, Ascari era a casa, nel suo appartamento di Milano, si stava ancora riprendendo dal terribile e premonitore volo di Monte Carlo di quattro giorni prima: l'olio lasciato da una Mercedes all'uscita del tunnel, la sbandata, la sua Lancia che si tuffa nel mare e lui ripescato incolume. Solo una gran botta al setto nasale. Forse per questo, per affrontare a muso duro gli effetti dell'incidente, va a trovare gli amici ferraristi Eugenio Castellotti e Gigi Villoresi che stanno provando la 750 a Monza. Dovrebbero solo pranzare insieme e invece insiste per guidare un'auto non sua e, scaramantico e superstizioso più di tutti, lui che non lasciava mai il casco azzurro e la logora maglia dello stesso colore, indossa l'elmetto di Castellotti e si mette al volante in giacca e cravatta.
E poi succede. Accade tutto trent'anni esatti dopo la morte di suo padre Antonio, grande pilota degli anni Venti, ucciso in pista anche lui; accade percorrendo una curva veloce a sinistra come il genitore; accade a 36 anni, stessa età per padre e figlio; accade in un anno che finisce con cinque, era il 1925 quando morì Antonio, è il 1955 adesso, e padre e figlio erano entrambi nati in un anno che finiva per 8, il 1888 per Antonio e il 1918 per Alberto. Accade odiando e temendo certi numeri, su tutti il 13, accade dopo le 13, sapendo che i nomi Antonio Ascari e Alberto Ascari sono composti di 13 lettere, e accade il giorno 26 che del numero maledetto è il doppio. Soprattutto, succede tutto dopo che l'amico Villoresi aveva provato in ogni modo a convincerlo di non guidare quel giorno, ben sapendo quanto Alberto fosse superstizioso e quanto amasse avere sempre con sé casco e tuta, e quanto gli aveva confidato nei primi mesi del 1955. “Sai”, gli aveva detto, “sono trent'anni che mio padre non c'è più, io quest'anno non lo passo...”.

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